martedì 19 aprile 2011

SPIRITO FRANCESCANO
a cura di David Pierini


Questi brevi scritti, opera di uno dei primi compagni di Francesco d'Assisi, contengono lo slancio più puro della fede e sono la testimonianza più preziosa che io abbia mai incontrato nel mio cammino.



I
Quando decisi di seguire Francesco con lui non c'erano che Bernardo e Pietro. Era d'inverno e l'aria gelata mi entrò nelle ossa appena mi tolsi il mantello di pelliccia e le scarpe. Mi scaldarono ridendo, coprendomi di abbracci e di manate, poi ci sedemmo in terra intorno al fuoco e fu allora che Francesco mi disse: "Questa è la vita del vangelo del Signore Gesù Cristo". Non sapevo neppure cosa fosse il vangelo, se non un libro santo che noi del popolo non potevamo comprendere né toccare, in cui erano scritti i comandamenti. Sapevo quello che del Signore ci diceva il priore del borgo alla messa e a scuola: che era Dio, nato a Betlemme con gli angeli che cantavano "Gloria!", che aveva predicato e fatto molti miracoli, e che era stato tradito da uno dei suoi apostoli e messo in croce, ma che era risorto e adesso è Re onnipotente e giudice dei vivi e dei morti, che dice: "Andatevene maledetti nel fuoco eterno!" a quelli che non gli ubbidiscono, come è dipinto dietro l'altare di san Rufino. Cosa c'entrasse tutto questo con me e con quel gruppetto di uomini infreddoliti non lo capivo bene; però ero immensamente felice all'idea che in quel mattino di gennaio stessimo vivendo il vangelo. Al tramonto entrammo in san Damiano per pregare, bagnati come pulcini perché era cominciato a piovere forte e non si poteva più stare in quella casupola di paglia e fango. Francesco prese il vangelo come fosse il Corpo del Signore e l'aprì sull'altare. Pietro, che aveva studiato, lesse quel passo in cui, dopo aver lavato i piedi ai discepoli Gesù disse: "Vi ho dato l'esempio perché come ho fatto io, così facciate anche voi". E Francesco, guardandomi, aggiunse pieno di gioia: "Questo è il vangelo; la vita del Figlio di Dio che ha voluto farsi servo delle sue creature, e noi vogliamo seguire le sue orme. Lui si è fatto nostro fratello, da ricco che era, per condividere la nostra povertà e debolezza. Nessuno ha un amore più grande di questo". Io guardavo il grande crocifisso appeso sull'altare e in quegli occhi pieni di bontà e in quelle labbra serrate come in un sorriso mi parve di leggere: "Se vuoi, vieni e seguimi".



II
La sera che Bernardo e Pietro distribuirono i loro beni sulla piazza del Mercato per unirsi a Francesco, rimasi senza parole seduto sui gradini del tempio a rigirarmi un fiorino tra le dita, ripensando a quella scena da saltimbanchi mentre poco a poco si andavano spegnendo le risate della gente. Pazzi. Non potevano essere che pazzi, pensavo. Guardavo quel fiorino nuovo di zecca e concludevo che per campare bisogna pur avere qualcosa tra le mani...In fondo, mi dicevo, nella vita basta avere qualche soldo e - per l'amor di Dio - la salute. Ma almeno questo! Volli andarglielo a dire, qualche giorno dopo. Trovai Bernardo lungo la strada con un fagotto in mano. Lì per lì stentai a riconoscerlo, con la barba non curata e coperto di stracci e quando gli fui davanti mi scappò una risata sonora, alla quale rispose con un largo sorriso. "Dove vai?" gli chiesi. Mi invitò a seguirlo e io andai con lui stringendo in pugno il suo bel fiorino. Si fermò vicino al ricovero di san Salvatore e io tentai la fuga. "Ho i miei fratelli là dentro che mi aspettano: se vuoi mangiare con noi, sii il benvenuto", mi disse cortesemente come fosse un invito a nozze. Avrei mangiato più volentieri in un nido di sorci piuttosto che a cento metri da un lebbroso; invece entrai attaccato alla sua corda turandomi naso e bocca con la camicia e nascondendo la faccia dietro la manica di fronte ai lebbrosi più sfigurati. Bernardo sciolse l'involto e ne uscì un tozzo di pane duro, paga per il suo lavoro di un giorno: gli era andata proprio bene, diceva lui. Allora gli dissi, parlando attraverso la camicia, quello che avevo pensato e pure che era roba da pazzi diventare poveri per aiutare i poveri con quel pane duro e ammuffito, quando poteva comprare per loro tutto il pane bianco che voleva se fosse rimasto ricco. A quel punto il pane finì ma non finirono le bocche da sfamare, io ero già pronto per godermi gongolante la scena, quando uno di quei disgraziati offrì la sua scodella piena di avanzi ricevuti in elemosina. Ne prese anche Bernardo, manifestando tutta la sua gratitudine e offrendone anche a me, che mi ritrassi inorridito. "Se la felicità dipendesse da quel che dici tu - mi disse - Dio l'avrebbe creata solo per qualcuno, e se conti quanti poveri e lebbrosi ci sono ad Assisi, può dirsi soddisfatta davvero poca gente e, a vederla,non sembra affatto felice". Fece un sospiro e scrollò la testa. "Il Figlio di Dio ci ha insegnato a vivere. E sai come?" Io mi strinsi nelle spalle coprendomi ancora naso e bocca. Allora mi prese le mani come volesse condurmi per sentieri sconosciuti, e mi parlò con la stessa forza di chi rivela la mappa di un tesoro: "Facendosi lui stesso povero e debole per noi e non volendo per sé neanche un fiorino per non essere superiore a chi non ce l'ha ed essere fratello di tutti, anche di questi lebbrosi. Lui ci ha fatti ricchi di questa sua povertà, che è l'amore gli uni per gli altri. Questa è l'unica ragione per cui valga la pena vivere e morire, l'unico motivo per cui nessuno potrà mai essere escluso dal godere la vita a piene mani". E mentre inghiottivo un boccone mi parve proprio di sentirmi felice.



III
Otto giorni, ricordo bene, passarono come una meteora, dopo che Pietro e Bernardo si unirono a Francesco. Io ero sempre lì tra i piedi a spiarli e a fare domande. Malgrado non fossi che un ragazzo, la loro vita mi aveva conquistato più che una donna affascinante, tanto che non ricordo neppure che fine abbia fatto il fiorino d'oro che quella sera carpii a Bernardo, l'unico fiorino che poté passarmi fra le mani in vita mia. Fui davvero travolto dalla gioia di quei fratelli che avevano sfondato l'argine della vita "normale" per trovare una libertà da respirare a pieni polmoni. Mi avevano messo fra le mani la perla della felicità e io la guardavo appassionato. Non pensandoci due volte mi ritrovai tra le braccia di Francesco a confessargli che se amavo la vita era perché lui me l'aveva fatta scoprire così bella. Io ero figlio di Dio e non avevo più paura. Scoprii la purezza dell'acqua e l'armonia della voce quando cadeva la pioggia facendo profumare l'erba e la terra dei campi; potevo fischiettare con i fringuelli o fare a gara con le cicale, giocare all'altalena con i bambini o invitare a danzare una povera mendicante sulla piazza di Assisi senza preoccuparmi di quello che diceva la gente; e riconoscere, dall'odore e dal ritmo dei passi, mio fratello Masseo o Leone o Rufino e mi sentivo felice. Si, ero figlio di Dio e non avevo più paura. E poi bastava guardare gli occhi di Francesco, occhi che brillavano, trasparenti, limpidi, puri, per far scappare ogni turbamento. Ci fu un periodo in cui la bellezza di quegli occhi era nascosta. Fu il tempo della contestazioni, delle incomprensioni, in cui Francesco si sentì di ostacolo alle idee degli altri fratelli, come fosse un peso, attaccato com'era alle sue convinzioni. Volle lasciare il governo dell'Ordine e si isolò in un eremo. Non riusciva neppure a parlare e si teneva lontano dai fratelli in modo da non farsi vedere così abbattuto e scoppiare a piangere davanti a noi, facendoci preoccupare e dando il cattivo esempio. Poi un giorno lo vedemmo tornare con Leone ancora sfigurato dalla sofferenza e dal digiuno, ma raggiante di gioia; e ci chiese perdono. Ci raccontò che, mentre sfogava la sua angoscia davanti a Dio, gli vennero in mente quelle parole del Signore: "Se avrete fede pari a un granellino di senape, potrete dire a questo monte: spostati! E quello si sposterà". E capì che quel monte era la sua tentazione. Ci esortò a gettare sempre nel Signore ogni nostra preoccupazione, perché Dio ha cura di noi. Ogni volta che un fratello si sentiva triste correva da Francesco e lui lo confortava con quelle parole del Salmo: "Getta nel Signore il tuo affanno ed egli ti sosterrà". Così tornò a riempire la nostra vita di serenità e letizia e a suonare la viola, commosso fino alle lacrime, sfregando insieme due pezzi di legno. Dio solo sa quale dolcissima melodia sgorgava dal suo cuore.




IV
La vita che trovai era davvero un'avventura fantastica. Francesco ci diceva di affrontarla giorno per giorno guidati dallo spirito del Signore sull'esempio di Gesù, e questo doveva bastarci. Mi venivano i brividi davanti ad una scommessa così folle, brividi di paura e di entusiasmo. Andavamo spesso in chiesa, soprattutto quando la povertà si faceva più dura e dovevamo chiedere l'elemosina o digerire con pazienza gli insulti della gente. All'inizio non sapevamo neppure pregare: Dicevamo solo il "Padre nostro", l'uno accanto all'altro, e quando chiedevamo il pane quotidiano e il perdono per i nostri debitori...quanto fervore aveva la nostra preghiera! Dicevamo anche altre semplici parole:"Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, qui e in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero, e ti benediciamo perché con la tua santa croce hai redento il mondo" e restavamo a lungo in silenzio a meditare questo mistero dell'umiltà di Dio perché quella, diceva Francesco, era la sorgente limpida e pura della nostra vocazione. Francesco era così pieno di amore per la povertà e l'umiltà del Signore che faceva lunghi sospiri e poi scappava nella selva a piangere forte. Anche di notte, spessissimo, si alzava silenzioso come un gatto, scavalcava i nostri corpi intorpiditi e scivolava fuori per incontrare Cristo. Sembrava proprio la storia appassionata di due amanti! Cercavamo di non spegnere mai questo ardore della preghiera, neppure mentre eravamo impegnati nei lavori più pesanti, per avere sempre in noi gli stessi sentimenti di Cristo. Anzi, era proprio pensando alla fatica e ai disagi del Figlio di Dio e della sua Madre povera che tutto sembrava più leggero e dolce. Ci univamo al canto delle cicale e degli uccelli e nelle sere d'estate lodavamo Dio con i grilli e il profumo dei campi di grano invitando la gente che passava a ringraziare il Signore, da cui proviene la vita, ogni bene, la bellezza e la felicità di ogni creatura.



V
La pioggia di quella notte aveva reso il cielo limpido come cristallo, così profondo che le rondini sembravano fare a gara a chi per prima toccasse le porte del Paradiso. Mi chinai per affondare le mani nell'acqua del secchio e canticchiando me ne spruzzai in faccia in abbondanza per svegliarmi bene. Francesco sbucò d'improvviso alle mie spalle, Dio sa da dove, e mi scavalcò alla cavallina, appoggiandosi alla mia schiena. Così ci ritrovammo seduti in terra e bagnati fradici (provateci voi a saltare alla cavallina con la tonaca!), ridendo a crepapelle. "Non sei felice? Eh? Non sei felice?" mi ripeteva contento come un bambino, "Ci manca forse qualcosa?". Io stavo per dirgli che mi mancava una bella salsiccia per cominciare bene quella mattina; comunque non potevo negare di essere veramente felice. "Dio è nostro Padre, che ci nutre come gli uccelli e ci veste come i fiori...Non ci opprimono le preoccupazioni di questo mondo, cerchiamo di vivere il vangelo con semplicità: che cosa vogliamo di più dalla vita?". Si avvicinarono anche Bernardo e Pietro, incuriositi da quegli schiamazzi, e si sedettero accanto a noi sull'erba. "Dobbiamo andare a dirlo a tutti", continuò Francesco, "dobbiamo invitare tutti gli uomini e tutte le creature a temere e onorare, a lodare e benedire e ringraziare e adorare il Signore Dio e ad osservare il santo vangelo, perché tutti sappiano che sono figli di Dio e siano felici. Partiremo subito", mi disse tirandomi per la manica e alzandosi con un balzo. Cercavo di rimettere in ordine le idee, ma Francesco già stava abbracciando Bernardo e Pietro per salutarli. "Io e lui andremo nelle Marche, voi aspettateci qui e pregate per noi. Torneremo presto, che Dio vi benedica". "Ma Francesco!", tentai di dirgli, "Partiamo così su due piedi? E siamo ancora tutti bagnati!" Venne allora a prendermi a braccetto e mi trascinò con sé. "Quando il Signore mandò i suoi discepoli per il mondo, li lasciò andare senza portarsi dietro nulla: né bastone, né bisaccia, né sandali. Dio non è forse nostro Padre?" Così iniziammo la nostra prima avventura, come pazzi, senza portarci niente. E quando incontravamo gente, Francesco cominciava a
cantare in francese e tutti si chiedevano che razza di giullari eravamo, vestiti a quel modo. Io mi vergognavo, ma poi cominciai a divertirmi e così chiamavo donne e uomini a venire a quello spettacolo. Francesco era proprio un genio: cantava canzoni ben note, d'amore o d'avventura, ma alla fine tutti capivano che erano preghiere. Una volta, attraversando il Montefeltro, vedemmo cortei di cavalieri salire al castello di san Leo per l'investitura del figlio di quel signore. Francesco volle andarci pure lui e, salito su un muretto, cantò a gran voce quella canzone che fa: "Tant'è il bene che m'aspetto che ogni pena m'è diletto". E parlò di Dio, che è tutto il Bene, con tanto ardore, che uno di quei cavalieri ci donò nientemeno che un'intera montagna! E mi sembrò che i frati fossero proprio come le rondini che, senza bagagli, lasciano i loro nidi per portare la gioia delle loro grida da una parte all'altra del mondo.



VI
Mentre alla Porziuncola già si lavorava come api per costruire le capanne per il Capitolo, i fratelli arrivavano a gruppi numerosi da ogni parte del mondo come arrivano i pellegrini a Roma per le feste degli Apostoli. Io mi divertivo a girare tra i gruppi e a sentir parlare in quel buffo latino fratelli inglesi, tedeschi, francesi, e ad ascoltare quello che si raccontavano. Ero felice perché quello che un giorno, tanti anni prima, quando andammo nelle Marche, Francesco mi aveva detto per incoraggiarmi, ora si avverava come una profezia: "Il nostro movimento", mi disse, "è come un pescatore, che con la sua rete acchiappa moltissimi pesci e poi si tiene quelli più belli e grossi". Ed era proprio così, perché sentivo dire che alcuni fratelli erano stati addirittura maestri nell'università di Parigi, ed altri furono importanti prelati nei loro paesi. In quelle terre lontane interi villaggi erano conquistati dai frati, persino gente già sposata, tra nobili e ricchi, voleva vivere come noi. Sentivo dire che il Papa e molti cardinali volevano che il nostro Ordine diventasse forte e libero di arrivare dovunque per riportare la vera fede tra gli eretici e nelle grandi città; e poi si raccontava con giusto orgoglio dei nostri primi santi, martiri della fede tra i saraceni. Ma le cose più straordinarie riguardavano Francesco qualcuno l'aveva visto fare veri miracoli e parlare con gli uccelli, predire il futuro e convertire nientemeno che il sultano di Babilonia con i suoi dignitari. Quando fummo soli raccontai a Francesco queste cose tutte d'un fiato, con tanto entusiasmo che mi si strozzavano le parole in gola. Lui sorrideva, e ad un tratto mi chiese se ci potesse essere una felicità più grande di questa. "Assolutamente no!" gli gridai raggiante. Lui si mise a ridere: "Ma saresti felice come il guardiano del tesoro di un altro!", mi rispose. "Senti qua, invece: io e te arriviamo al Capitolo e siamo accolti con grandi onori, perché siamo i primi fratelli entrati nell'Ordine; tutti vogliono toccarci con devozione e poi insistono perché prendiamo la parola e li ammaestriamo e noi, vinti da tanto affetto,
cominciamo a parlare come una volta, facendo i giullari e cantando le lodi di Dio. Noi terminiamo aspettandoci un bell'applauso, ma tutti stanno in silenzio. Poi uno si alza e a nome di tutti dice: "Tu sei un sempliciotto e un idiota, ci vergogniamo di avere un capo illetterato come te! Noi ormai siamo tanti e tali da poter fare da soli molto meglio di come hai fatto tu finora. Sei un peso per noi, vattene a vivere altrove, tu e quel pagliaccio del tuo amico". Io rimasi con la bocca spalancata aspettando la conclusione di quella storia assurda. "Vedi? Se noi, lasciati soli sotto la pioggia e umiliati, resteremo sereni e continueremo ad amare i nostri fratelli come noi stessi, senza pretendere che siano diversi da come sono, allora potremo davvero essere pazzi di gioia: questa è la vera felicità, perché solo allora saremo veri discepoli di Cristo, che ha amato fino all'estremo i suoi fratelli che erano nel mondo".